turba

  • Hack’emMuort

    Siamo nel ‘25.

    Il Papa proclama l’anno santo.

    A seguito del discorso in cui Mussolini si assume la responsabilità morale e politica del delitto Matteotti, le Prefetture ricevono mandato di controllare le organizzazioni politiche “sospette”: perquisizioni e arresti di massa.

    Il Governo italiano annuncia l’avvio della Battaglia del grano, per l’autarchia.

    In Africa l’Italia occupa l’Oltregiuba, annettendolo alle sue colonie nel continente.

    In Germania viene rifondato il Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori, dopo una prima messa al bando.

    Negli USA il Ku Klux Klan sfila a Washington.

    Siamo nel ‘25.

    Il Papa ha proclamato l’anno santo.

    Viene approvato il decreto Sicurezza voluto dal governo Meloni: le forze di polizia vedono ampliato il proprio potere discrezionale e di sorveglianza.

    Il Governo italiano lancia il disegno di legge ColtivaItalia, per il sovranismo alimentare.

    In Africa l’Italia amplia il Piano Mattei, coinvolgendo 14 paesi del continente in un progetto di impronta estrattivista e neocoloniale.

    In Germania l’AFD è il secondo partito più votato.

    Negli USA l’Azione Antifascista è dichiarata fuorilegge in quanto “organizzazione terroristica.”

    Ma non ci pensiamo. Anzi, noi vogliamo guardare al futuro: non temete, gli anni Novanta sono dietro l’angolo, e saranno uno spasso.

    L’1 e 2 novembre Hack’emMuort al Turba, appuntamento di avvicinamento ad Hackmeeting, l’incontro annuale delle controculture digitali: hacking, saperi critici e pratiche di autogestione.

    Anacronistico, direte voi. Dopotutto, siamo nel 2025.

    Programma

    sabato 1/11

    Alle 15h00 in salone

    P.I.P.P.A. – Primo Intervento in Piazza Per Antagonistx

    Lineamenti di primo soccorso in manifestazione, a cura del gruppo locale di street medic.

    Se la repressione si fa più violenta, noi famo P.I.P.P.A.

    Alla Nona (si intende sempre le 15h00, miscredenti ignoranti) nella cripta

    Guerre di Religione – parte I: Hack Utis, né dio né patroni.

    Lab-oratorio di sovversioni anticlericali.

    Alle 19h00 nella cripta

    Presentazione del romanzo di fantascienza ucronica Prompt di Fine Mondo, di Agnese Trocchi.

    Come andarono veramente le cose nell’attentato multiplo del 2 marzo 2027 che vide la distruzione dei principali data center statunitensi?

    Ai vespri

    Cena di magro

    talk: si parlerà di Palestina, Raccordo – l’aggregatore di movimento, filtri Corsi-Rosenthal autocostruiti, vita in una stanza subequatoriale, e chissà che altro.

    A seguire Danze Macabre – selecta by dj Kit’èstramurt.

    Domenica 2/11

    Dalle Lodi mattutine alla Compieta

    Ritiro spirituale Hackmeeting (avete capito bene, un’assemblea lunga un giorno). A metà giornata pranzo frugale.

  • Le Acacie del Ténéré

    Sabato 18 ottobre 2025, gradite ospiti del nostro palco seminterrato, andranno in scena:

    Le Acacie del Ténéré

    «La violenza sessista culmina sì spesso in violenza fisica. Ma nasce nei gesti, nelle parole e nei modi di fare che ogni giorno ascoltiamo, vediamo e che lasciamo correre o, ancor peggio, accettiamo e giustifichiamo e quindi sosteniamo.

    Fin qui, a parole, tutte e tutti d’accordo.

    Nasce spesso però anche dalle bocche delle persone amiche. La troviamo spesso anche nei gesti e nei modi delle nostre compagnie politiche.
    Ma cosa vuol dire essere compagnə dunque?
    Quale è l’esatto cortocircuito che ci fa rifiutare di condividere piazze e lotte con chi perpetra alcune forme di fascismo e ci fa però condividere non solo piazze e lotte, ma anche case e spazi e amicizie e vite, con chi semina e innaffia il machismo, il sessismo e dunque il patriarcato, in virtù di un’amicizia o di un’alleanza politica?
    Quale è ancora il cortocircuito che ci fa vedere chiaramente e condannare una violenza e ce ne nasconde e ne fa quindi supportare un’altra?

    E quanto siete dispostə ad accettare come risposta, prima di condannarla?

    Abbiamo provato con “le Acacie del Ténéré” ad interrogarci e a risponderci. A voi va?»

    Le acacie

    Dove: caos Turba, via del Fosso snc, fermata del minimetrò di Madonna Alta (il mini ha allungato gli orari di chiusura il sabato, potete venire senza macchina)

    Quando: sabato 18/10, dalle 19h00 stuzzicheria imperturbabile e a seguire si apre il sipario alle 20h00.

  • Ti conosco, mascherina!

    Una trama avvincente con crackers, macchine in fiamme e una struggente storia d’amore

    foto del materiale trattenuto fatta pervenire ai media

    Cosa è accaduto

    Sabato 4 ottobre 2025, un’imponente operazione di controllo e “filtraggio” dei manifestanti è stata messa in piedi in occasione della manifestazione nazionale prevista il giorno stesso. Al casello di Roma Nord macchine e autobus incolonnati in monocorsia venivano smistati verso varie piazzole per poi essere perquisiti. Diciamo subito che il bottino è stato esiguo. Se certa carta stampata ha potuto parlare di «mazze», è sicuramente per licenza poetica e non per malafede. O forse nella telefonata con gli agenti si è persa una sillaba: si trattava di ramazze, insomma, manici di scopa (perlopiù in plastica). In mezzo c’era addirittura una canna da pesca, uno strumento crudele, siamo d’accordo, ma solo per chi respira con le branchie. In questa serie di oggetti (che altro non erano se non aste casarecce), spicca la requisizione avvenuta ai danni di alcunx nostrx compagnx provenienti da Perugia. Nel loro veicolo sono stati rinvenuti alcuni kit di pronto soccorso assemblati per l’occasione: erano infatti direttx al presidio di street medic (primo soccorso autorganizzato di piazza).

    Come si può notare dalla foto gentilmente concessa ai giornali, il materiale sospetto consta di: 

    sacchetto di avanzi della colazione con 1 (uno) mandarino; rotoli di benda elastica; ghiaccio istantaneo; occhiali protettivi; giacca antipioggia con bande riflettenti; valigetta pronto soccorso; filtrante facciale; coperte termiche; assorbenti; mascherine industriali; disinfettante; crackers; compresse di garza; guanti monouso; disinfettante spray.

    Tra il materiale trattenuto figurano anche un paio di pantaloni ad alta visibilità con nastro riflettente.

    A seguito del ritrovamento, allx compagnx è stato intimato di recarsi in caserma insieme ad altri due autobus, scortatx da 4 veicoli di polizia per non meglio precisati “accertamenti”. Sappiamo che alle persone sui pullman era stato detto che sarebbero state condotte al concentramento: solo dopo aver accostato perché ormai chiaro che il tragitto portava da tutt’altra parte, sono state informate del fatto che anche loro, più di cento persone, erano dirette in caserma. A questo punto, lx compagnx degli autobus, forti del loro numero, sono smontatx e hanno ottenuto di svincolarsi dall’assurdità di un fermo ottenuto con l’inganno. Hanno inoltre intavolato una trattativa per far sì che anche allx compagnx di Perugia fossero restituiti i documenti, e di fronte al rifiuto opposto dalla polizia hanno deciso di seguirlx e presidiare la caserma dove erano statx condottx. Qui, dopo varie lungaggini, lx cinque sono statx rilasciatx previo fotosegnalamento e requisizione del materiale di primo soccorso in quanto «potenzialmente pericoloso» e «incompatibile con una manifestazione pacifica». Il loro fermo, tra ripetute perquisizioni, intimidazioni da parte dei più alti in grado ma anche tanto tanto divertimento, è durato in tutto poco meno di 6 ore.

    Per fortuna il corteo era in ritardo.

    Le nostre armi sono “non letali”, ciò che da loro vi protegge è “pericoloso”

    Nel patetico teatrino del sequestro di cerotti e crackers, polizia e media si sono prodigati nel mettere in risalto le temibili mascherine.

    E quindi parliamone, anche se sembra assurdo.

    Le mascherine sono un presidio di parziale tutela dagli effetti del gas lacrimogeno. Difficilmente si può immaginare in quale modo possano essere «atte a offendere», salvo impiegarle nella stessa frase: nel qual caso l’offesa c’è, ed è al buonsenso.

    Le armi antisommossa hanno il fine di disgregare e seminare caos in un gruppo coeso di persone, contribuendo così alla sua dispersione. In generale, si tratta di strumenti indiscriminati e imprecisi, in quanto loro obiettivo è la massa. Sono a torto dette “non letali”, e sarebbe più corretto definirle come “a bassa letalità”, dato che possono uccidere e non di rado lo fanno. Senza contare che la loro pericolosità aumenta se, come spesso accade, vengono utilizzate in maniera impropria.

    Il gas lacrimogeno, di cui si fa largo uso nelle piazze, è arma dagli effetti non circoscrivibili, in quanto colpisce tuttx lx astanti (non è raro che ne facciano le spese gli stessi agenti). In Italia si usa tra gli altri il CS, messo al bando in contesto bellico, ma curiosamente impiegato contro la propria popolazione civile. Il gas causa irritazione oculare, cutanea, stress respiratorio, e in alte concentrazioni o in caso di esposizione prolungata, o ancora se colpisce soggetti con pregresse difficoltà respiratorie, può risultare letale. Pochi giorni fa, a Bologna, l’abitudine a sparare i candelotti “ad alzo zero”, con il fine deliberato di procurare danni da impatto, ha causato il grave ferimento di una ragazza che ha reso necessario un intervento chirurgico per scongiurare la perdita dell’occhio.

    Ci sembra superfluo dire che per un intervento di primo soccorso in piazza, e potenziale esposizione prolungata ai gas, i dispositivi di protezione sono imprescindibili. 

    Manifestanti cattivi e dove trovarli

    Il 4 ottobre 2025, dopo due anni di uno sterminio annunciato, è sceso in piazza più di un milione di persone. Sicuramente un grande risultato per chi da due anni (e più) lotta per rompere il silenzio che si è tentato di imporre sull’annientamento della popolazione palestinese. Ma anche un pessimo segno, per una specie che ha la pretesa di definirsi “superiore”. Ci sono voluti due anni di impegno per ricostruire quel basilare senso di dignità che di fronte a un genocidio facesse scendere la gente in strada, il che, diciamocelo, è un po’ il minimo sindacale. Avremmo dovuto bloccare tutto due anni fa, anzi avremmo dovuto bloccare tutto molto prima, ad ogni annuncio dell’apertura di una fabbrica di armi. Ad ogni speculazione di borsa a seguito di una strage. Ad ogni centesimo investito in un sistema di sfruttamento coloniale. Senonché chi sosteneva tali idee e ancor più chi le metteva in pratica veniva tacciatx di “estremismo” e “violenza”, un modo facile per evitare qualsiasi discussione.

    Quelle di “estremista” e “violento” sono categorie elastiche: chi oggi presta orecchio al coro dell’unanime condanna dei “violenti” dovrebbe riflettere su quanto sia facile finire nel mazzo dei cattivi. “Violenti” erano lx nostrx compagnx con il kit del primo soccorso. “Violento” era il signore sull’autobus con la canna da pesca a reggere una bandiera. “Violento” era chi ha dato alle fiamme un’auto della polizia, e così via.

    Intanto il nostro paese arma chi alle fiamme ci dà le persone. Foraggia i militari e li dota degli ultimi ritrovati in materia di uccisione. Per fare questo taglia salute, istruzione, pensioni, stipendi, saccheggia i territori, alimenta le diseguaglianze e soffia sul fuoco della xenofobia per offrire dei comodi capri espiatori quando il malessere minaccia di esplodere.Ogni accenno di dissenso, per quanto piccolo, è represso con crescente brutalità.Tutto questo non è forse violenza?

    Qual è dunque il grado di conflittualità accettabile di fronte a un genocidio e all’industria che vi ruota intorno? Davvero il problema è una mascherina, una canna da pesca, una macchina bruciata? 

    Chi aveva con sé materiale medico, chi una canna da pesca, chi ha incendiato un’auto, tuttx avevano degli obiettivi, che, sembrerà strano, non erano lo scontro fine a se stesso con le Forze dell’Ordine. Queste ultime, come dice il nome, difendono l’Ordine, lo status quo, qualunque esso sia. Se l’ordine delle cose prevede di collaborare al genocidio, esse verranno impiegate a sua tutela. Presi singolarmente molti agenti potrebbero addirittura non essere d’accordo, ma molto probabilmente non si tireranno indietro, perché – quante volte glielo abbiamo sentito ripetere? –  stanno solo facendo il loro lavoro o, in alternativa, stanno solo eseguendo ordini. Obiettivo della protesta in genere non è l’auto della polizia, ma sicuramente l’auto della polizia si verrà a trovare tra i manifestanti e l’obiettivo della protesta.

    Abbiamo ancora lacrime da versare per la macchina?

    Perché?

    Perché tanto accanimento sulla street medic? A livello operativo, degli agenti sul campo, il mandato era sicuramente ottenere qualcosa, qualsiasi cosa, da dare in pasto ai media per demonizzare la piazza. Non ci fosse stato il materiale medico sarebbe toccato alle aste, e in subordine agli spazzolini da denti, o alle bolle di sapone, non importa.

    È però possibile rilevare un’ulteriore motivazione, più o meno conscia, lungo la catena di comando: il materiale della street medic infastidisce perché rappresenta un germe di solidarietà tra le due parti contrapposte nella trita retorica buoni/cattivi che da troppo tempo intossica i movimenti.

    Forse il timore è che parte del corteo cosiddetto “pacifico” possa supportare attivamente chi adotta altre modalità d’azione, e resistere all’apparato repressivo dispiegato, minando alla base la frammentazione ottenuta grazie alla velenosa dicotomia violenti/nonviolenti. Nel mondo non mancano esempi, anche recenti, in cui proteste nutrite e variamente conflittuali hanno ottenuto dei risultati, pensiamo a Nepal, Indonesia, Francia. 

    L’idea stessa alla base del primo soccorso in piazza è la prova dell’esistenza di una sfumatura, di una complicità, di qualcosa che va oltre la divisione in buoni e cattivi. Del fatto che comunque vada, in strada si rimane finché si riesce. E se si va via, lo si fa come si è arrivatx: insieme. 

    E se questo vuol dire essere violentx, e dellx cattivx manifestanti, allora sì, siamo tuttx violentx, siamo tuttx cattivx manifestanti.

    Un momento, e la struggente storia d’amore che ci avevate promesso?

    Non c’è, vi abbiamo fregato. Oppure non l’avete vista, non ve lo diremo mai.

  • C’ho ancora le turbe

    11/10/2025 alle 18h00.

    Presentazione del libro Il volo di Francesca, di Giorgia Marzano, Francesca Zanini, Carlo Rovelli e Massimo Tirelli, alla presenza dell’autrice Francesca Zanini.
    A seguire assemblea-dibattito e cena conviviale.

    Il libro. Il volo di Francesca.

    «Ricordo una passeggiata nel bosco senza parlare troppo, tenendoci per mano, senza altro dire, con la leggerezza del tempo senza tempo e dell’aria fresca, e la consapevolezza che avremmo potuto cominciare a pensare al futuro. Ognuno quel futuro che riusciva a vedere, comunque futuro.»

    «Una storia d’amore bruciante, una storia di generosità e amicizia che non ammette discussione, un affetto profondo che porta a un coraggio sconsiderato. Affetti e ideali politici si intrecciano. Animati da un senso di giustizia assoluto, insofferenti alle regole, credendo in un mondo migliore, Carlo, Massimo, Giorgia e Francesca attraversano dolore, incertezza, sconforto, ma non hanno paura e non si tirano indietro davanti a quella che il mondo chiama follia. Sullo sfondo del mondo in rapido cambiamento culturale degli anni Settanta, dove tutti i ruoli e le certezze vengono messi in discussione, e dove la legge Basaglia ha appena permesso di aprire le porte dei manicomi, si dipana questa testimonianza intima di una breve e intensa avventura, che lascerà un segno profondo su di loro e la loro profonda amicizia. La voce di Francesca da ragazza, attiva nel movimento politico e femminista, è una straordinaria testimonianza dall’interno e in prima persona di un percorso al di là di quella che è chiamata normalità. Ci offre uno sguardo di saggezza e un insegnamento prezioso, oggi forse più che mai, sull’umanità e sul valore che anima ogni diversità, anche la più radicale.»

    L’assemblea. A cinquant’anni da Crimini di pace.

    La loro guerra uccide

    ciò che la pace ha risparmiato1

    Un breve viaggio, indietro e avanti nel tempo.
    La storia di Francesca prende le mosse nel 1980, 45 anni fa.
    Due anni prima ancora, nel 1978, era il tempo della legge 180, impropriamente detta “legge Basaglia”, momento apicale e al contempo di crisi della lotta contro l’istituzione manicomiale.
    Infine, nel 1975, veniva pubblicato a Torino Crimini di pace. Ricerche sugli intellettuali e sui tecnici come addetti all’oppressione, a cura di Franco Basaglia e Franca Ongaro.

    Oggi, cinquanta anni dopo.

    Si discute al Senato il ddl Zaffini: nel testo, oltre al raddoppio dei termini per i TSO (da 7 a 15 giorni), si introduce il ricorso a «trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali»2 che, come se non fossero già la norma, ora riposeranno su un’ulteriore codifica legale. Nello stesso anno, è ancora un documento del CSM a suggerire una nuova categoria, l’inemendabile, ovvero la persona socialmente pericolosa al punto da dover essere segregata in strutture di alta sicurezza ove «l’aspetto “custodiale” prevalga su quello curativo, da affidarsi alla Polizia Penitenziaria». Di seguito si rispolvera la nozione di antisociali, coloro che «non necessitano di presa in carico […] quanto piuttosto di contenimento» e per cui vanno «immaginati dei luoghi […] che siano all’interno di strutture forti, probabilmente delle carceri».3

    Si sente odore di manicomio, quell’odore che Basaglia nelle sue Conferenze brasiliane sosteneva essere uguale in tutto il mondo. L’attuale deriva autoritaria non poteva non avere delle ripercussioni nell’istituzione psichiatrica, e ci sembra plausibile leggere il ddl 1179 come un equivalente del Decreto Sicurezza, emanato appositamente per il preteso universo separato della malattia mentale. Del resto, come evidenziato dai recenti rapporti di Antigone4 questa contaminazione non è a senso unico: mentre da un lato si criminalizza il malessere, dall’altro il carcere viene psichiatrizzato. Assistiamo dunque al grande ritorno delle tragiche figure speculari del reo-folle e del folle-reo, che riassumono su di sé lo sfumare le une nelle altre delle forme detentive e delle sopravvivenze manicomiali.
    A mezzo secolo di distanza, urge tornare a riflettere sui crimini di pace, consapevoli di come siano parte di un continuum di violenza: guerre e genocidi sono realtà meno remote di quanto non ci piaccia pensare, e affondano le radici in quello che ci hanno venduto come tempo di pace.

    Mettetevi scomodx, ne parliamo insieme.

    1. Kalashnikov collective, Chi sta in alto dice: questa è pace, questa è guerra, dallo split con i Contrasto Come il soffitto di una chiesa bombardata. ↩︎
    2. D.d.l. 1179, Disposizioni in materia di tutela della salute mentale. ↩︎
    3. Presa d’atto del documento finale relativo alle R.E.M.S., Commissione Mista per i problemi della Magistratura di sorveglianza e dell’esecuzione penale, 07/01/2025. ↩︎
    4. Antigone, Il carcere-manicomio: i numeri della psichiatrizzazione dei penitenziari in Italia, in Nodo alla gola. XX rapporto sulle condizioni di detenzione (2024), e Hanno ucciso Franco Basaglia, in Senza Respiro. XXI rapporto sulle condizioni di detenzione (2025). ↩︎